Alcide De Gasperi e il bene comune

Qualche giorno fa. il senatore a vita Giulio Andreotti, ha inaugurato a Torino una mostra in memoria di uno dei più grandi statisti italiani: Alcide De Gasperi, a cui si devono almeno due grandi intuizioni: la fondazione della Democrazia Cristiana e l’aver saputo, assieme a Robert Schuman ed Konrad Adenauer, gettare le basi per l’Europa unita.

Perché riflettere oggi sul suo modo di fare politica a cinquanta anni dalla sua morte? Per molti motivi, ma soprattutto perché, soleva ripetere: “io faccio politica per il bene degli altri”.

Non credo che sia il caso di approfondire il suo impegno nella costituzione della Democrazia Cristiana, quanto ritengo nel gran lavoro fatto per l’unificazione dell’Europa. Il suo concetto di Europa prevedeva la necessità di un esercito, perché sosteneva: “La condizione essenziale per una resistenza esterna è in Europa la difesa interna contro una funesta eredità di guerre civili”. Per questo scopo la Nato è essenziale, ma non basta. “Se la Nato vuol dire difesa collettiva fondata sulla leale esecuzione di un Patto, l’esercito europeo significa la pace garantita strumentalmente e strutturalmente, fondata non solo su di un trattato, ma sulla organica eliminazione di ogni possibilità di ricorrere alla forza fra i partecipanti”.

Ma questo passaggio epocale nella storia europea doveva passare sempre secondo De Gasperi attraverso una unità di tipo politico, morale e spirituale. Ripeteva infatti che “una vera unità organica dell’esercito non è possibile senza una graduale unità politica, la quale a sua volta può resistere soltanto se è contemporanea ad un processo di unificazione economica, tutelando le diverse civiltà europee”.

Ma un ulteriore aspetto a cui De Gasperi teneva in particolar modo era l’Europa della civiltà cristiana. Infatti sosteneva: “Come concepire un’Europa senza tener conto del cristianesimo, ignorando il suo insegnamento fraterno, sociale, umanitario?”. La sua idea di Europa preveda inoltre che non vi fosse la predominanza di una ideologia sull’altra, tanto che dichiarava: “Non il liberalismo il quale, tuttavia, presuppone le libertà essenziali alla base della vita pubblica. Non il socialismo, perché esso ha perduto la coscienza di quella che è la caratteristica più importante del movimento europeo, cioè la coscienza della funzione eminente, non dello Stato o della collettività, ma dell’uomo e della persona umana”.

Se riflettiamo sulle sue parole ci accorgiamo come il suo impegno politico abbia rappresentato una delle più alte forme di carità e ritengo che rappresenti, al pari di Giorgio la Pira, un modello per noi cattolici impegnati in politica. Oggi, anche se siamo minoranza, dobbiamo essere coscienti che la “qualità degli ideali e degli uomini” possono essere più decisivi dei numeri, soprattutto nelle fasi di transizione dove è più importante discernere la direzione. Il futuro dei cattolici si misurerà proprio nella capacità di riorientare lo sviluppo di questo paese verso il futuro, rilanciando nuove progettualità e nuovi traguardi sociali.