Giorgio La Pira: un esempio di vita cristiana

La figura e l’opera di Giorgio la Pira, che i fiorentini chiamano ancora oggi il Sindaco Santo, restano un punto di riferimento per tutti coloro che intendono la politica come servizio, non separabile da un profondo significato etico e dal rispetto per le tradizioni, sia laiche che religiose, che ad essa debbono ispirarsi. La domanda che La Pira si pose fin dall’inizio della sua attività pubblica fu, messosi di fronte alle diverse dottrine politiche: “quali di esse dobbiamo accogliere e quali respingere volendo seguire fedelmente il pensiero cattolico?” La sua vita e la sua militanza politica, culturale e religiosa ruotano intorno a questo interrogativo. E’ proprio nell’aver saputo coniugare la tolleranza con il rigore dottrinale che glgi proveniva dalla sua intensa, vissuta religiosità, che consiste l’assoluta originalità della lezione lapiriana.

La Pira visse in maniera straordinaria questa esperienza di uomo politico e uomo di fede; operò ad ogni livello, nella vita contemplativa, nell’impegno sociale e politico, con la predilezione per i poveri, per le vittime della guerra e della sofferenza. E seppe in modo singolarissimo associare i luoghi di preghiera e di meditazione ai suoi incontri con i potenti della terra, nella sua infaticabile opera tesa a salvare la pace nei momenti più drammatici della guerra fredda.

Il compito dell’amministratore politico è quello di garantire a tutti pane, lavoro, casa. E’ questa una premessa che gli uomini politici devono tenere ferma nella loro mente: stella polare della loro azione politica, giuridica, economica, finanziaria, dar lavoro a tutti, dare il pane quotidiano a tutti; sopra queste finalità prime, improrogabili, elementari, deve essere costruito l’intero edificio dell’economia, della finanza, della politica, della cultura; la libertà medesima, respiro della persona, è in un certo modo preceduta e condizionata da queste primordiali esigenze del lavoro e del pane. Se la piena occupazione non viene acquisita e mantenuta, le libertà non saranno sicure, perché per molti esse non avranno abbastanza valore. La politica è dunque il compito più alto, ma anche più difficile, di servizio verso il prossimo. Un percorso difficile quello dell’uomo impegnato nella politica, ma proprio in virtù di questo, carico di un profondo valore. Da ciò segue che la responsabilità del politico è individuale e sempre maggiore in misura del compito e del ruolo sostenuto.

Capacità e volontà di applicare praticamente le proprie idee materializzandole in attività concrete

Sono innumerevoli le attività che La Pira ha svolto nella propria vita a cominciare dalle opere di carattere amministrativo che fece per la città di cui era sindaco, ma è incredibile vedere il numero di collaborazioni e interventi che ha fatto su riviste e quotidiani. È da notare inoltre la grande quantità di iniziative di carattere culturale organizzate, soprattutto quando era sindaco, e il gran numero di viaggi per stabilire contatti e relazioni al fine di stabilire un dialogo costante e profondo con diverse culture. Infine non è da dimenticare il grande contributo che diede alla formulazione della nostra Costituzione.

Un esempio della sua concretezza, quando da Sindaco si schiera dalla parte degli operai e mobilita il mondo politico ed economico per tentare di impedirne la chiusura. Alla fine si rivolge a Enrico Mattei, il presidente dell’ENI che decide di affiliarsi allo stabilimento fiorentino: il Pignone era salvo. Tutto ciò gli valse le accuse di “comunista bianco” e “comunista di sagrestia“. Di questo ne è testimonianza uno scambio epistolare tra il Sindaco di Firenze e Don Sturzo. Quest’ultimo, a proposito dell’impegno di La Pira per gli operai, nel frattempo era intervenuto per difendere gli occupati della Richard-Ginori, della Galileo e della Fonderia delle Cure, ricordava a La Pira che i cattolici devono essere interclassisti e non statalisti, considerando lo stato come unica fonte del diritto, se non si vuol finire, ammoniva il leader della DC, in una sorta di “marxismo spurio“. Il Sindaco rispose con una lunga lettera, ma vorrei ricordare questo passaggio: “Dopo aver presentato al maestro di Caltagirone la cartella clinica di Firenze: 10.000 disoccupati, 3.000 sfrattati, 17.000 libretti di povertà, concludeva: “davanti a tutti questi feriti buttati a terra dai ladroni, come la parabola del Samaritano, cosa deve fare il Sindaco? Può lavarsi le mani dicendo a tutti: scusate, non posso interessarmi di voi perché non sono statalista ma interclassista?”.

Di fronte alla frase offensiva, viene facile a La Pira ribattere con pari vivacità: ” Non si allarmi, caro don Sturzo: la frase di Mussolini fu da noi amaramente sperimentata durante gli ultimi anni di tirannia del regime fascista. Lei forse non lo sa: noi si prese posizione pubblicamente – anche con una rivista scritta quasi tutta in latino e greco ( Principi ) e soppressa proprio quando uscì il numero sulla libertà: gennaio 1942 ! – contro questo Stato tutto di hegeliana fattura. Pensi, quindi, se non conosciamo per esperienza e per sofferenza amara cosa sia lo Stato totalitario! Lei era in America, in esilio, e certo soffriva; ma consentirà che Le dica che le nostre pene non erano più piccole delle Sue: quali e quante! Stia tranquillo! Siamo ben vaccinati! Lei è contro lo Stato totalitario sovratutto per persuasione: noi lo siamo in virtù di una persuasione autenticata da una terrificante esperienza che ci brucia ancora ! “.

Una profonda e radicale fede religiosa che lo spinge ad esporsi su temi quali: la pace, il dialogo interreligioso e il rispetto della persona cominciando da quella che è più in difficoltà.

(Messaggero di fede e di pace) La pace rappresenta il tema principale del suo pensiero e si lega in maniera indissolubile alla libertà religiosa e del singolo uomo. Famoso è il suo discorso al Cremino davanti al Soviet Supremo dove espose con fermezza le sue idee di credente e di uomo amante della pace: ”Signori, io sono un credente cristiano e, dunque, parto da questa ipotesi di lavoro: credo nella presenza di Dio nella storia, nell’incarnazione e resurrezione di Cristo e credo nella forza storica della preghiera; perciò, secondo questa logica, ho deciso di dare un contributo alla coesistenza pacifica tra Est ed Ovest come dice il Signor Krusciov, facendo un ponte di preghiera fra occidente ed oriente per sostenere come posso la grande edificazione di pace nella quale tutti siamo impegnati. […] Il nostro comune programma costruttivo, il nostro disegno architettonico, deve essere questo: Dare ai popoli la pace, costruire case, fecondare i campi, aprire officine, scuole e ospedali, ricostruire e aprire dovunque le Chiese e le Cattedrali. Perché la pace deve essere costruita ad ogni livello della realtà umana: livello economico, sociale, politico, culturale e religioso. Soltanto così il ponte di pace fra oriente ed occidente diventerà incrollabile. E così lavoreremo per il più grande ideale storico della nostra epoca, un pacifico tempo di avvento cristiano.”

Nei successivi contatti La Pira esortò i dirigenti sovietici a liberarsi dai “rami secchi” dell’ateismo di Stato, di derivazione illuministica e borghese, che divide anziché unire i popoli.

Il futuro dell’umanità

La Pira si rivolse così alla Comunità degli scrittori europei nel 1962: “Siamo ormai sul crinale apocalittico della storia: in un versante c’è la distruzione della Terra e dell’intera famiglia dei popoli che la abitano, nell’altro versante c’è la fioritura messianica dei mille anni intravista da Isaia, da San Paolo, da San Giovanni: i popoli di tutta la terra e le loro guide politiche e culturali sono oggi chiamate a fare questa estrema scelta. Per non compiere il suicidio globale e per andare, invece, nel versante nella pace millenaria bisogna accettare il metodo indicato dal profeta Isaia: bisogna, cioè, trasformare i cannoni in aratri ed i missili in astronavi e non devono più i popoli esercitarsi con le armi”.

La pace Mediterranea diventerà davvero come una misteriosa, divina pietra filosofale che trasforma in oro tutto quello che tocca. Ed una grande civiltà, la nuova civiltà del mondo, avrebbe nel Mediterraneo il suo fondamento ed il suo grande punto di genesi. E’ un sogno? E’ vero ma questa età apocalittica in cui viviamo e nel cui interno sempre più ci inoltriamo, è appunto, l’età dell’utopia, l’età in cui l’utopia diventa storia ed il sogno realtà”.

Ciò esige una generale e profonda revisione dei concetti, dei metodi e dei fini nella teoria e nell’azione politica, esige una nuova metodologia capace di edificare nell’unità e nella pace una società nuova e proporzionata a questa epoca: la metodologia del Vangelo, che impone a tutti i popoli di amarsi e di integrarsi reciprocamente come membri solidali di un unico corpo.

Tutto questo richiede la promozione a tutti i livelli, da quello economico a quello spirituale, culturale e politico, di tutti i popoli, antichi e nuovi, della terra; esige, in particolare, una tale strutturazione del sistema economico da permettere di fondare saldamente sul lavoro la comune società dei popoli e delle nazioni: una città nuova attorno alla fonte antica, come disse papa Giovanni XXIII.

L’albero su cui questo messaggio fiorisce è davvero ben radicato, afferma La Pira, sale dalle radici più profonde della civiltà cristiana e umana di Firenze, porta i nomi di Dante, del Beato Angelico, di Leonardo, di Michelangelo e del Savonarola. A queste radici del passato si sono aggiunte le altre grandi radici del presente: quelle degli uomini più qualificati della Resistenza fiorentina, che dissero no al fascismo e al nazismo e che con il loro sacrificio contribuirono in larga misura alla fine di un tristissimo periodo di odio e di guerra ed all’inizio di questa nuova epoca carica, malgrado tutto, di fraternità, di comprensione e di pace.

Il dialogo interreligioso

Giorgio La Pira iniziò il dialogo tra cristiani, ebrei e musulmani nell’ambito dei “Convegni per la pace e la civiltà cristiana”, che promosse a Firenze dal 1952 al 1956.

Il crocevia dei sentieri dei popoli mediterranei partiva da Gerusalemme, la città santa di tutte e tre le famiglie discese da Abramo.

Nell’introdurre il III “Colloquio mediterraneo” del 1961, La Pira ricordò che l’idea dei colloqui si precisò in lui nel Natale 1957 mentre era in pellegrinaggio in Palestina ad Hebron, presso la tomba del Patriarca, di Abramo, padre della triplice famiglia dei credenti: Israele, la Cristianità, l’Islam. Egli si rendeva ben conto che il Mediterraneo da fossato quale era per diventare un grande lago di Tiberiade avrebbe dovuto abolire tutte le ragioni conflittuali, da quelle economiche a quelle politiche. Occorreva fare leva sulla fede nel medesimo Dio, con quel ricco tessuto di implicazioni etniche e sociali che aveva dispiegato lungo la storia. La struttura capace di annullare tutte le cause di divisione era, per La Pira, “la componente religiosa della rivelazione divina che trova in Abramo, il patriarca dei credenti, la radice soprannaturale comune”.

Il tempio, la cattedrale e la moschea costituiscono l’asse attorno al quale si edificano i popoli, le nazioni e le civiltà che coprono l’intero ‘spazio di Abramo”.

Questa immersione nelle profondità della cultura mediterranea non era per lui una fuga mistica dal presente, né poteva appagarsi di un anacronistico ritorno al passato: era la condizione stessa della pace nel mondo, dato che l’unità dei popoli della terra non è concepibile senza l’universalità delle tre grandi famiglie monoteistiche7.

A rendere improrogabile questa scelta era la condizione apocalittica inaugurata nell’era atomica. Il disegno architettonico era semplice, dichiarava La Pira: si trattava di convocare a Firenze i popoli mediterranei, di farli incontrare in Santa Croce nel ricordo di San Francesco e nella sua azione di pace svolta nel 1210 con il Sultano, ed iniziare a Firenze, nell’occasione di questo incontro, quel negoziato di pace destinato a dare unità a tutti i popoli mediterranei, membri dell’unica famiglia abramitica e destinati a dare un nuovo essenziale apporto alla nuova civiltà del mondo.

Questa esperienza fiorentina fu per La Pira un “progetto operativo” che si articolava in tre parti strettamente collegate tra di loro: la prima riguardava la presente età apocalittica e nucleare della storia del mondo; la seconda considerava la finalità, la “teleologia” della storia in generale; la terza si riferiva specificamente alla storia mediterranea, dei popoli membri della comune famiglia del Patriarca Abramo.

E qui entra in campo quello che La Pira chiama il “sentiero di Isaia”. La storia universale è paragonata a un grande fiume che, nonostante le sue anse e i suoi percorsi tortuosi, sotto la spinta della forza soprannaturale della Grazia, va verso la foce dell’unità dei popoli. Il fiume storico dell’utopia profetica di Isaia costituisce, come rilevò anche Paolo VI, l’autentico realismo della storia. A questo finalismo oggi non c’è alternativa se non la distruzione apocalittica del genere umano.

La città come centro della cultura per un popolo.

Altro tema affronta da La Pira si riferisce al ruolo storico e futuro delle città in un’epoca di minaccia di guerra nucleare. La Pira ne parlò in un discorso pronunciato nell’aprile 1954 a Ginevra in una seduta del Comitato Internazionale della Croce Rossa sostenendo che ci troviamo nell’”epoca storica delle città” e questo è confermato dalla più accreditata letteratura non solo urbanistica, ma anche storica, politica e pure filosofica e religiosa.

La cultura e la metafisica della città sono diventate il centro nuovo di orientamento di tutta la meditazione umana. Siamo ad una nuova ‘misura’ dei valori: la storia presente, ma ancora più quella futura, si serviranno sempre più di questo metro destinato a fornire la misura umana a tutta la scala dei valori.

Ma a questo periodo di preminenza delle città corrisponde al momento in cui le principali città del mondo potevano essere distrutte in pochi secondi. “Che sarebbe dell’umanità – si chiede La Pira – senza questi centri essenziali del mondo civile e che diritto hanno gli Stati di distruggere queste ‘unità viventi’ in cui si concentrano i valori essenziali della storia passata e futura?“. Le generazioni attuali non hanno il diritto di distruggere una ricchezza che è stata loro affidata in vista delle generazioni future. Il diritto all’esistenza delle città nel loro valore storico, artistico, culturale, politico e religioso si fa più grande a misura che si chiarisce nella meditazione umana attuale il significato profondo delle città stesse. Io domando che il diritto delle città all’esistenza sia formalmente riconosciuto dagli Stati che hanno il potere di violarlo; io domando, anche a nome delle generazioni future, che i beni di cui sono destinatari non siano distrutti. Ma perché questo avvenga occorre che gli Stati si sentano responsabili dei luoghi essenziali per l’esistenza stessa della civiltà umana e che, di conseguenza, siano sottratti a qualsiasi minaccia mortale di azioni di guerra.

Queste idee furono ribadite da La Pira in occasione del Convegno fiorentino dei Sindaci delle Capitali, da lui promosso nel 1955: “Ciascuna città e civiltà è legata organicamente per intimo nesso e scambio a tutte le altre: formano tutte insieme un unico grandioso organismo”. Le città restano, specie quelle fondamentali, arroccate sopra i valori eterni, portando con sé, lungo il corso dei secoli e delle generazioni, gli eventi storici, di cui sono state protagoniste e testimoni. Esse sono come “libri vivi” della storia e della civiltà umana, destinati alla formazione spirituale e civile delle generazioni future”.

 

L’azione di Giorgio La Pira ebbe una duplice valenza: politica e profetica. Ciò significa che egli si fece portatore di idee, ma anche e soprattutto di opere e di iniziative. Il suo campo privilegiato fu l’incontro fraterno tra i diversi credenti dello stesso Dio e questo anelito inter-religioso nasceva da una straordinaria e, nello stesso tempo, semplice e cristallina fede cristiana. Era la sua una adesione profonda al messaggio evangelico nelle sue radici bibliche e nella sua universalità; in questo senso il suo cattolicesimo ecumenico lo portava naturaliter ad aprirsi agli altri fratelli di fede, con particolare predilezione a chi credeva in modo diverso allo stesso Signore e allo stesso Padre. Ed in questo campo Giorgio La Pira si cimentò non solo con profonde riflessioni teologiche, ma soprattutto con iniziative e con clamorosi incontri in momenti difficili, e in un certo senso impossibili, della storia, se questa è vista senza la prospettiva della speranza profetica.

 

Conclusioni

citazioni

“Se affermo che ho una missione da svolgere nel mondo non devo dimenticare che un’altra missione, coordinata e non inferiore moralmente alla mia, ha da svolgere il fratello che mi sta vicino! È questa la base di roccia sopra la quale può poggiare senza tema di rovina l’edificio sociale umano”.
In una città un posto ci deve essere per tutti: un posto per pregare (la chiesa), un posto per amare (la casa), un posto per lavorare (l’officina), un posto per imparare (la scuola), un posto per guarire (l’ospedale)”.