L’Italia e Kioto: quanta distanza

Qualche mese fa anche la Russia ha aderito al Protocollo di Kyoto, contribuendo in modo decisivo a fare attuare il trattato in tutto il mondo. Ai margini di questa scelta sono rimasti solo gli Stati Uniti d’America (responsabili, da soli, del 24% delle emissioni mondiali), che non lo hanno ratificato per non mettere in crisi la loro economia. Adesso, anche l’Italia, dopo aver tergiversato, ha finalmente sciolto la riserva non approvando né il trattato di Kyoto 1, né tanto meno il più stringente Kyoto 2. Forse si dimentica che a Kyoto si era arrivati dopo circa 10 anni di trattative e che in fin dei conti stabilisce solo la riduzione entro il 2008-2012 dell’emissione mondiale di CO2 del 5.2%, rispetto alle emissioni del 1990, ed individuando quote massime di emissione per tutti i paesi Ocse e dell’ex-URSS, mentre rimandava a una seconda fase i vincoli per i paesi in via di sviluppo. Ma Kyoto per poter essere attuato doveva essere ratificato da parte di 55 paesi, responsabili, in totale, di almeno il 52% delle emissioni mondiali. Oggi, finalmente grazie alla Russia, Kyoto è una realtà. Ma è corretto, quindi oggi, anteporre i problemi di sviluppo dei nostri Paesi al Protocollo? Se la politica dell’oggi continuerà su questa strada, entro questo secolo, sostengono i climatologi, la temperatura media del pianeta potrebbe aumentare di un valore compreso tra 1,8 e 5,4 °C. Gli scienziati ritengono inoltre che, per evitare il previsto aumento della temperatura media planetaria, occorrerebbe che il taglio fosse almeno di un ordine di grandezza superiore e superasse il 50% rispetto ai livelli del 1990. Ecco quindi che inesorabilmente dobbiamo renderci conto che la miopia di alcuni governanti ci porterà inevitabilmente a vivere grandi cambiamenti climatici, che porteranno alla distruzione di parte della nostra terra con ciò che vi vive.

Da più parti si parla di quanto sia importante l’innovazione tecnologia e la ricerca, ma nello stesso tempo non si capisce che Kyoto rappresenta una occasione irripetibile. E’ questo il momento di mettere in cantiere ammodernamenti alle produzioni industriali, sviluppare nuovi programmi di risparmio energetico, razionalizzare l’uso delle fonti di energia da combustibili fossili (e cioè i soliti carbone, petrolio e metano), ridurre la produzione di rifiuti e soprattutto investire nella ricerca e nello sviluppo delle fonti di energia rinnovabile (solare ed eolica in particolare). Tutto questo comporta necessariamente costi ingenti sia ai grandi complessi industriali sia alle amministrazioni statali, ma si ripercuoterebbe in un benefico per tutta l’umanità.